Il racconto di Simone: “Prima avevo spesso febbre alta e forti dolori, sintomi che ora sono quasi scomparsi grazie alla terapia enzimatica sostitutiva”
Napoli – Simone è un paziente ‘storico’:è stato il primo a iniziare la terapia enzimatica sostitutiva per la malattia di Fabry al Policlinico di Napoli: era il 2001, e da allora la sua vita ha preso una piega diversa. La svolta, però, è stata la diagnosi, ottenuta intorno ai 7 anni, nel 1984: un caso in controtendenza, dato che il ritardo diagnostico in questa malattia è ben più ampio; il tempo che intercorre tra l’esordio dei sintomi e la diagnosi, infatti, è in media di 13,7 anni per i maschi e 16,3 anni per le femmine.
“Da piccolo avevo spesso la febbre altissima, anche fino a 41: mi davano il Bentelan e la Tachipirina ma la temperatura non scendeva”, ricorda Simone. “Inoltre, avevo forti dolori alle mani e ai piedi e delle petecchie sulla pelle: è stato proprio quest’ultimo sintomo a indirizzare i medici verso la diagnosi corretta, in seguito a una biopsia e a un consulto fra gli specialisti del Gaslini di Genova, i colleghi del Policlinico di Napoli e quelli di un Centro esperto negli Stati Uniti”.
Oggi Simone ha 42 anni, è sposato e ha due figli maschi, che non hanno ereditato la patologia: i padri affetti da malattia di Fabry, infatti, trasmettono il gene difettoso solamente alle figlie femmine. Nella sua famiglia ci sono altri due casi di malattia di Fabry: anche la mamma e il fratello sono affetti, e anche loro sono in cura dal prof. Antonio Pisani, ricercatore presso la cattedra di Nefrologia dell’Università Federico II di Napoli.
Simone, che abita in un paese della provincia di Napoli, dopo quasi vent’anni di terapia enzimatica sostitutiva (due volte al mese) sta molto meglio: “I dolori si sono attenuati, sono quasi scomparsi, posso fare un po’ di corsa la mattina, e la febbre mi viene una volta l’anno come a tutti”, racconta. “Quando ero bambino la malattia mi condizionava anche dal punto di vista dello sport: ho praticato sia il calcio che il nuoto, ma specialmente d’inverno, se prendevo freddo,mi ammalavo spessissimo. A ferragosto, ad esempio, non potevo fare il bagno di mezzanotte come i miei amici. Ho dovuto rinunciare anche a fare delle vacanze lunghe, sia perché ogni 14 giorni ho l’appuntamento con l’infusione, sia perché all’estero, a seconda del Paese dove si viaggia, è possibile che i medici non conoscano la mia patologia. Anche nel campo del lavoro, nei primi anni non è stato facile: facevo molte assenze, soprattutto d’inverno, e di conseguenza non potevano affidarmi progetti importanti”, prosegue.
La malattia gli ha creato dei danni ai reni, e anche la sua condizione cardiaca viene costantemente monitorata. Di recente, con la messa a punto di una nuova terapia orale, il migalastat, Simone ha valutato di passare a questo trattamento, ma la sua mutazione non rientra fra quelle suscettibili al farmaco. Ha quindi scelto la terapia a domicilio: è molto più comoda rispetto al trattamento in ospedale, gli permette di trascorrere più tempo con la sua famiglia, e i preparatissimi infermieri, col tempo, sono diventati per lui quasi degli amici. Poi, tre mesi fa, ha deciso di tornare in ospedale, sia per la terapia che per sottoporsi a delle analisi approfondite: c’è infatti la possibilità che possa rientrare in una sperimentazione di terapia genica. La prospettiva di una cura definitiva, con un’unica infusione, è allettante, ma le analisi di Simone dovranno rientrare in valori specifici.
“Lo screening individuerà i pazienti adatti alla terapia genica: ora siamo in fase di arruolamento, e inizieremo il trial a fine ottobre o agli inizi di novembre”, spiega il prof. Antonio Pisani. “Al momento lo screening è circoscritto ai soli pazienti afferenti al mio centro, ma a breve spero di allargarlo a tutti i pazienti italiani interessati”.
Francesco Fuggetta